Io non ho mai visto di buon grado le moto, ma durante le corse spesso l’attenzione viene carpita dalla spontaneità, il coraggio, il divertimento che le accompagnano.

I ragazzi che corrono mettono in conto di poter morire, ma chi non lo mette in conto. Loro però a differenza di quella giovane mamma travolta dal temporale, sfidano la sorte, vanno incontro a quello che può essere l’ultima corsa, l’ultimo giro, l’ultima curva.

Il papà di Marco lo seguiva, appoggiava, sosteneva e sicuramente per lui la morte rientrava nel gioco, ma il vuoto che la morte di un figlio lascia è incolmabile.

Non si accetta per nessuna ragione al mondo, però noi mamme di questi ragazzi siamo persone molto forti, riusciamo a salvarci cercando una forza interiore, tanto grande da non essere paragonata a niente. Solo chi ha bisogno di trovarla sa quanto sforzo mentale, fisico, è necessario per portarla alla luce.

Parlo delle mamme perché il distacco dai figli è un dolore fisico, quando vengono alla luce, ed è un dolore fisico quando li perdiamo per sempre.  Ci amputano di organi vitali, per i quali non sono previsti trapianti.

Tutto questo dolore fa parte della vita, ed è per questo che ogni giorno ci alziamo, usciamo, parliamo, mangiamo, ridiamo anche, ma in ogni istante di queste azioni il nostro corpo ricorda di non essere più intero.

Le persone vicine sono necessarie ad alleggerire la pesantezza del dolore e aiutano a curare le ferite.

Altrimenti non si spiegherebbe come è possibile continuare  a vivere.

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